Storia della malattia celiaca

Le possibili origini della celiachia non sono ancora note, tuttavia si ipotizza che sia stata l’introduzione del glutine nella dieta, a seguito della scoperta dell’agricoltura e quindi della coltivazione dei cereali, a determinare la comparsa della patologia.

Il primo accenno alla celiachia risale al I secolo d.C., quando Aulo Cornelio Celso, medico romano, introdusse il termine koiliakos (dal greco: “coloro che soffrono negli intestini”) per indicare malattie intestinali con diarrea incoercibile.

In seguito, nel II secolo d.C, anche Areteo di Cappadocia, medico greco, nel suo scritto “Diatesi celiaca” (“alterazione intestinale”), descrisse per la prima volta soggetti affetti da una diarrea cronica associata a perdita di peso e profonda astenia, sintomi che oggi sappiamo essere riconducibili alla celiachia;

Si dovette poi aspettare fino al 1888 per avere la prima definizione di malattia celiaca come “sindrome da malassorbimento intestinale”, grazie a Samuel Gee, medico pediatra britannico, nel suo lavoro dal titolo “The Coeliac Affection”; egli, pur non avendo piena conoscenza delle cause, individuò nella dieta priva di farinacei una possibilità di terapia.

Negli anni ‘50 del XX secolo, il medico olandese Willem Karel Dicke riuscì a dimostrare il ruolo eziologico del glutine nella patogenesi della celiachia. Egli, infatti, osservò che durante la seconda guerra mondiale, i bambini che soffrivano di diarrea cronica associata a malassorbimento intestinale, sintomi tipici della malattia celiaca, migliorarono notevolmente quando, a causa del conflitto, ci fu il cosiddetto “inverno digiuno” (1944-1945) in cui, venendo a mancare le scorte di farina e frumento, i piccoli pazienti venivano sfamati con patate, banane ed altri alimenti inconsueti tra cui i bulbi di tulipano. Terminata la guerra, con il ritorno alla normalità alimentare, Dicke notò il ripresentarsi dei sintomi. Grazie a questa brillante osservazione, egli giunse all’ identificazione del glutine come causa della celiachia.

Nel 1954 venne descritta per la prima volta la presenza di atrofia dei villi con ipertrofia delle cripte, mentre a metà degli anni ‘60 venne suggerita un’ereditarietà autosomica dominante con penetranza incompleta.

Inizialmente, la celiachia era una malattia che poteva essere diagnosticata solo dopo la morte, facendo l’autopsia ed esaminando la mucosa intestinale. Successivamente, l’introduzione della tecnica bioptica, che consentiva di prelevare ed esaminare la mucosa digiuno-duodenale, ha permesso la diagnosi anche nei soggetti in vita. In seguito si sono diffusi test sierologici basati sull’utilizzo di anticorpi sufficientemente sensibili e specifici, che hanno permesso di semplificare l’iter diagnostico.

Infine negli anni’80 Marsh pone l’accento sulla patogenesi autoimmune della malattia, descrivendo vari tipi di lesioni associabili alla severità della patologia. Dalla fine degli anni ’80 dunque e nel corso degli anni ‘90 venne scoperto il ruolo del complesso maggiore di istocompatibilità e della transglutamminasi tissutale nella patogenesi della celiachia.

 

Bibliografia

Gee, S., On the coeliac affection. St Bartholomews Hosp Rep, 1888.

Dicke, W.K., Investigation of the harmful effects of certain types of cereal on patients with coeliac disease. [doctoral thesis] University of Utrecht, the Netherlands, 1950.

Immagine di copertina tratta da: http://puntodivistaceliaco.blogspot.it

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