Eziopatogenesi della celiachia

E’ ormai stabilito che gli elementi determinanti lo sviluppo della malattia sono due: fattori genetici e fattori ambientali (presenza di glutine nella dieta).

  • Fattori ambientali

Il fattore ambientale è rappresentato dalla gliadina, frazione proteica del frumento, del segale, dell’orzo, del farro, dell’avena, del kamut, della spelta, del triticale o dei loro ceppi ibridati o da essi derivati.

Una delle frazioni proteiche che costituiscono il glutine ed è la responsabile dell’effetto tossico per il celiaco è la prolamina,: la prolamina dal frumento è la gliadina, dalla segale è la secalina, dall’orzo è l’ordeina e dall’avena è l’avenina.

In realtà per l’avena occorre riportare quanto definito dal Ministero della Salute nella Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia (settembre 2010).“Per quanto riguarda l’avena, le evidenze sperimentali indicano che la stragrande maggioranza dei celiaci può tollerarla, tuttavia si preferisce precauzionalmente non includerla nella dieta priva di glutine soprattutto per il rischio di contaminazione”.

  • Fattori genetici

Sebbene ci sia una chiara predisposizione familiare, l’ereditarietà della malattia celiaca non segue un classico modello mendeliano, indicando una probabile eziopatogenesi multigenica e/o multifattoriale. L’elevata prevalenza della patologia (10-15%) nei parenti di primo grado, la concordanza in fratelli HLA-identici (30%) e la concordanza dell’80% nei gemelli monozigoti, indicano comunque il coinvolgimento di fattori genetici alla base dello sviluppo della patologia. 

Il principale fattore genetico predisponente è rappresentato dal complesso maggiore di istocompatibilità umano di tipo II (HLAII), codificato da geni sul cromosoma 6p21.3.

Il 95% dei pazienti celiaci presenta l’eterodimero DQ2, codificato da 5 combinazioni alleliche diverse, mentre quasi la totalità dei restanti presenta l’eterodimero DQ8, con una sola combinazione di alleli. Risultano rarissimi i pazienti privi di entrambi i loci.

Si deve tuttavia sottolineare che l’analisi dell’HLA non serve a fare diagnosi della malattia in quanto nella popolazione generale la frequenza dell’aplotipo DQ2 è pari al 25% e quella per il DQ8 è pari al 32%, ma solo l’1% dei soggetti con predisposizione genetica sviluppa la malattia. In compenso però la negatività per tali aplotipi esclude in pratica una diagnosi di malattia celiaca.

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Attualmente, specie per i grandi progressi fatti dopo la pubblicazione dell’intera sequenza del Genoma Umano e dei suoi polimorfismi, sono stati identificati, mediante studi di associazione, 20 geni associati al fenotipo “celiachia”.

Tali geni possono essere raggruppati in 5 grandi classi:

  • geni della differenziazione delle cellule T: IL2, IL21, IL18RAP, IL12A;
  • geni del signaling dell’attivazione immunitaria: SH2B3, TAGAP, CTLA4, PTPN2, ICOS;
  • geni dell’immunità e del TNF signaling: TNFAIP3, TNFSF14;
  • geni delle citochine: CCR1, CCR3;
  • geni dei compartimenti cellulari: LPP, RGS1, SCHIP1, REL, KIAA1109, CUTL1, VIL2.

Essi spiegano soltanto il 3-4% dell’ereditabilità della malattia celiaca, e considerato che i geni HLA contribuiscono per 40% circa, nuovi geni e conseguentemente nuove regioni genomiche dovranno essere ancora esplorate.

L’ interpretazione della celiachia come malattia autoimmunitaria potrebbe infine spiegare la forte associazione della stessa con altre patologie autoimmuni come il diabete mellito, la sindrome di Sjogren e la tiroidite autoimmune.

Bibliografia:

Ministero della Salute: Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia anno 2010.

McDonald, W.C., W.O.I. Dobbins, and C.E. Rubin, Studies of the familial nature of celiac sprue using biopsy of the small intestine. N Engl J Med, 1965

Farrell RJ, Kelly CP in N Engl J Med 2002

Sitografia:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed

http://www.biomedcentral.com/

http://www.celiachia.it/home/HomePage.aspx#

http://www.salute.gov.it/

http://www.celiac.nih.gov/

Immagine di copertina tratta da: http://www.vita.it

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